Il secolo per immagini

L’incidente a Montparnasse

Questa è una delle fotografie più belle, famose e spettacolari del Novecento, un’immagine che ha attraversato con intatto vigore espressivo l’intero secolo quasi a rappresentare un monito, ironico e drammatico allo stesso tempo, sui rischi legati al progresso e alla modernità.

Una foto tanto “esagerata” quanto vera, talmente perfetta da sembrare il fotogramma di un film: di un film, nella sua carica di assurdità ed umorismo, di Charlie Chaplin o di Buster Keaton.



Il 22 ottobre del 1895, alla stazione Montparnasse di Parigi, si verificò uno degli incidenti più inverosimili dell’intera storia della ferrovia: una locomotiva non si fermò alla fine del binario e precipitò fuori dalla stazione.

L’espresso numero 56 proveniente dalla Normandia e diretto a Parigi quel giorno trasportava 131 passeggeri ed era trainato dalla locomotiva 721 di tipo 120, molto comune all’epoca. Il treno viaggiava in ritardo, con due vagoni bagagli, un vagone postale, otto carrozze passeggeri e un ultimo vagone per le valigie, e il macchinista - un certo Guillaume Marie Pellerin con alle spalle 19 anni di esperienza - aveva deciso di far andare il treno più veloce nella speranza di recuperare qualche minuto.



Per questo motivo, nonostante i disperati tentativi di frenare per tempo la corsa, il treno entrò in stazione a velocità eccessiva e andò a sbattere violentemente contro i respingenti posti al termine del binario. L’impatto non fece arrestare il convoglio, che proseguì, sfondò la facciata della stazione e precipitò per una decina di metri, raggiungendo il suolo nella Place de Rennes sottostante. Fortunatamente tutti i vagoni passeggeri rimasero all’interno della stazione, cosa che ridusse notevolmente le conseguenze dell’incidente sulle persone.



I feriti gravi furono cinque: due passeggeri, un vigile del fuoco e due impiegati delle ferrovie. La locomotiva cadde vicino a un’edicola che si trovava appena all’esterno della stazione. Marie-Augustine Aguilard, che stava sostituendo suo marito alla rivendita di giornali, fece appena in tempo a veder passare sopra la sua testa la locomotiva. Stava lavorando a maglia seduta su alcuni gradini: un pezzo di calcinaccio precipitato a causa dell’incidente la colpì a morte.



Pellerin, il macchinista, sopravvisse. Fu processato e condannato a due mesi di reclusione e a un’ammenda di 50 franchi per la sua condotta alla guida della locomotiva. Il capotreno fu condannato a pagare 25 franchi.

Il funerale della signora Aguilard fu invece pagato dalla compagnia ferroviaria, che diede anche un risarcimento ai suoi due figli.



L’incidente alla stazione di Montparnasse, 22 ottobre 1895


l ragazzo di Piazza Tienanmen


Un manifestante cinese davanti a una fila di carri armati a Chang’an Avenue, vicino a Piazza Tienanmen a Pechino il 5 giugno del 1989, il giorno dopo l’inizio della brutale repressione del governo cinese contro gli oppositori del regime a Tienanmen.



L’uomo si mise in mezzo alla strada e si parò davanti a una fila di carri armati cercando di fermarli sbarrando loro il passo. Teneva una busta nella mano sinistra e la giacca nella mano destra. Appena i cingolati giunsero davanti a lui il ragazzo sembrò volerli respingere.

In risposta, i carri armati cercarono di aggirarlo, ma il ragazzo li bloccò più volte, mettendosi di fronte a loro ripetutamente, adoperando la resistenza passiva. Dopo aver bloccato i carri armati il ragazzo si arrampicò sulla torretta del primo carro e si mise a parlare con i soldati.

Diverse sono le versioni su cosa si siano detti, tra le quali “Perché siete qui? La mia città è nel caos per colpa vostra” e “Arretrate, giratevi e smettetela di uccidere la mia gente”.

Il ragazzo scese dal carro armato e venne allontanato da alcune persone che secondo alcuni erano manifestanti e secondo altri uomini dei servizi segreti cinesi. Uno, in bicicletta, parlò brevemente col giovane, mentre gli altri lo sollevarono da terra e lo portarono qualche metro più a sinistra, poco distante dai carri armati, per poi rimetterlo a terra.



Non si è saputo più nulla di lui.

Sono circolate voci mai verificate che parlavano della sua carcerazione e del suo ricovero in un ospedale psichiatrico.

Nel 1998 la rivista Time ha inserito questo giovane cinese nell’elenco delle 100 persone che maggiormente hanno influenzato il XX secolo.

L’accaduto è stato ripreso da diversi cineoperatori e fotoreporter occidentali, tra i quali anche Jeff Widener (che fece lo scatto più famoso, forse perché era quello maggiormente ravvicinato) e Stuart Franklin, ma la versione che qui proponiamo è quella di Charlie Cole, che vinse con queste immagini il prestigioso premio World Press Photo.



L’episodio è divenuto il simbolo della lotta del singolo individuo contro tutte le dittature.

Ma in realtà, come molti osservatori hanno notato, gli eroi nella fotografia del carro armato sono due: il personaggio sconosciuto che rischiò la vita piazzandosi davanti al cingolato e il pilota del carro che seppe fare appello alla propria coscienza morale, rifiutandosi di schiacciare il suo compatriota.



Charlie Cole - Il ragazzo di Piazza Tienanmen, Pechino 5 giugno 1989


9/11


A New York, la mattina dell’11 settembre 2001, due aerei di linea, dirottati da esponenti della cellula terroristica di matrice islamica Al Qaeda, si schiantarono in un’azione suicida contro le Twin Tower, le due Torri Gemelle del World Trade Center, alte ciascuna 110 piani, simbolo della città, provocandone il crollo totale, che investì l’area circostante di un’immensa nuvola di polvere e detriti.

Gli attacchi terroristici dell’11 settembre causarono circa 3000 vittime. Nell’attacco alle Torri Gemelle morirono 2752 persone: tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti. La maggior parte delle vittime erano civili di 70 diverse nazionalità.



Cosa si può dire sull’11 settembre che non sia già stato detto?

E’ storia recente, che tutti hanno vissuto e nessuno potrà mai dimenticare.



E’ sufficiente un’immagine, diversa dall’iconografia “classica” cui siamo abituati, straordinaria e drammatica, di angosciante bellezza, per raccontare interamente il dramma, la paura, lo sgomento vissuti e provati da quelle persone, uomini e donne, che quel giorno si trovarono al centro di questa immane tragedia, e per mostrare la distruzione.



Un gruppo di sopravvissuti cammina tra i detriti e le macerie dopo l’attentato alle Torri Gemelle a New York.

Jonathan Markowitz, la seconda persona da sinistra, si trovava all’ottantacinquesimo piano della Torre Nord quando il primo aereo si è schiantato contro l’edificio. E’ uno dei pochissimi superstiti tra coloro che si trovavano quella mattina all’interno delle due torri crollate.



Gulnara Samoilova - New York City, 11 settembre 2001

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Raising the Flag on Iwo Jima


La battaglia di Iwo Jima, una delle più cruente della Seconda guerra mondiale, fu un durissimo scontro avvenuto sull’omonima isola del Pacifico, dal 19 febbraio al 26 marzo 1945, tra le truppe dei Marines americani e i reparti dell’esercito e della marina giapponesi.

L’isola di Iwo Jima, con l’isola di Okinawa, era ritenuta di fondamentale importanza strategica perché da qui i bombardieri pesanti statunitensi avrebbero potuto facilmente partire per le operazioni in Giappone.

Per questo motivo le due isole erano presidiate da forti divisioni giapponesi, composte, solo a Iwo Jima, da 25.000 uomini.



I Marines americani si scontrarono subito con un pesante fuoco nemico proveniente dal monte Suribachi e combatterono su un terreno molto difficile.

L’arrampicata in cima al Suribachi fu combattuta palmo a palmo. E tuttavia, già nella mattina del 23 febbraio, la sommità fu raggiunta. Vi fu innalzata una bandiera a stelle e strisce, la quale fu poi rimpiazzata da un’altra più grande, in modo da conservare la prima per il battaglione.



Fu quello il momento in cui venne scattata una delle foto più famose della storia. L’autore dello scatto è Joe Rosenthal, che grazie a questa foto vinse il premio Pulitzer. Nemmeno si era accorto, Rosenthal, di avere scattato la foto che divenne per gli americani il simbolo stesso della guerra e della vittoria.

E racconta la dinamica: “All’inizio non volevo neppure salire, perché mi avevano detto che la bandiera era già stata alzata. Poi, però, decisi di andare lo stesso. Una volta in cima, vidi con la coda dell’occhio che i marines stavano sostituendo la prima bandiera, giudicata troppo piccola, con una più grande. Puntai la macchina e scattai”.



La foto, per l’eccezionale carica emotiva che esprime, fu immediatamente pubblicata su tutti i giornali ed è stata riprodotta negli anni in migliaia di esemplari. Diventerà l’icona del patriottismo nazionale americano e ispirerà il celebre Marine Corps War Memorial, il grande monumento commemorativo in bronzo situato ad Arlington, nei pressi di Washington.



L’autenticità della foto è stata spesso messa in discussione: molti autori sostengono che sia stata costruita a tavolino, mettendo in posa i soldati, mentre altri la ritengono totalmente autentica e altri ancora sostengono che la bandiera ondeggiasse già al vento, quando Rosenthal arrivò, e che il reporter si sia limitato a far ripetere l’azione.

Joe Rosenthal, in pratica, non avrebbe creato di sana pianta la scena, ma l’avrebbe semplicemente rifatta.

Per anni Rosenthal è stato accusato di aver costruito l’immagine, ma fino alla morte si è difeso così: “Se ci avessi provato, l'avrei rovinata”.



Joe Rosenthal - Raising the Flag on Iwo Jima, 23 febbraio 1945

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Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico


Questa straordinaria immagine è una delle fotografie più famose e iconiche del Novecento, quella in cui Tommie Smith e John Carlos si trovano sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico, con il pugno alzato, i guanti neri simbolo del Black Power, i piedi scalzi come segno di povertà, la testa reclinata e una collanina di piccole pietre al collo: “Ogni pietra è un nero che si batteva per i diritti ed è stato linciato”.



Bisogna ricordare alcune cose, di quel 1968 perennemente associato al Maggio francese. Il 16 marzo il massacro di My Lai, il 4 aprile l’assassinio di Martin Luther King: e il 5 giugno tocca a Bob Kennedy. Aggiungiamoci il Biafra, i carri armati sovietici sulla primavera di Praga e la strage di piazza delle Tre Culture poco prima che cominci l’Olimpiade messicana.



Gli atleti Tommie Smith, al centro, e John Carlos alzano il pugno durante l’inno nazionale americano, in segno di solidarietà verso la lotta per i diritti civili dei neri, il 16 ottobre del 1968. Smith e Carlos avevano vinto le medaglie d’oro e di bronzo nei 200 metri e Smith aveva stabilito il nuovo record del mondo con 19” 83, primo uomo nella storia dell’atletica a scendere sotto i 20 secondi netti.

Vengono contestati dalla folla, ma il loro gesto diventerà uno dei più famosi nella lotta dei movimenti Black Power.

Su quel podio sale anche, sul secondo gradino, Peter Norman, un australiano che per solidarietà con i due atleti afro-americani indosserà durante la cerimonia la coccarda dell’Olympic Project for Human Rights.



Quel che invece succede dopo, a Smith e Carlos, ha tutti i crismi della rappresaglia: accusati di vilipendio alla bandiera e ai Giochi Olimpici, per volontà del presidente del Cio Avery Brundage i due vengono espulsi dalla squadra nazionale americana e banditi dal villaggio olimpico. Tornati in patria, ricevono minacce di morte e su di loro si tenterà sempre di far calare, invano, l’oblio del dimenticatoio.



“Appena la bandiera a stelle e strisce cominciò a oscillare nel vento di quell’estate messicana, Tommie Smith e John Carlos rimasero in piedi sul podio, con le loro medaglie al petto; abbassarono la testa e alzarono un pugno. Il destro Smith, il sinistro Carlos. Pugni evidenziati dai loro guanti di cuoio nero”.



Tommie Smith e John Carlos, Città del Messico, 16 ottobre 1968

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Il disastro dell’Hindenburg


Zeppelin è un tipo di dirigibile rigido sviluppato in Germania ai primi del Novecento.

Prende il nome dal suo ideatore, il conte Ferdinand von Zeppelin, e, contestualmente, dalla ditta costruttrice fondata nel 1908, la Luftschiffbau Zeppelin GmbH, che completò la costruzione di 119 dirigibili fino al 1938.

Il successo ottenuto da queste aeronavi, tra gli anni dieci e gli anni trenta, fa sì che zeppelin rappresenti il dirigibile rigido per antonomasia.



Lungo 245 metri, solo 24 in meno del transatlantico Titanic, l’LZ 129 Hindenburg è stato il più grande oggetto volante mai costruito: era uno zeppelin tedesco e portava il nome del Presidente della Germania, Paul von Hindenburg.



Inizialmente i dirigibili vennero impiegati per trasportare i passeggeri e durante la prima guerra mondiale vennero usati nella ricognizione e come bombardieri. Nel 1912 l’esercito italiano fu il primo a usarli per uno scopo militare durante una ricognizione a Tripoli.

La fortuna della Zeppelin e dei dirigibili ha iniziato a venir meno in seguito al disastro dell’Hindenburg.



L’Hindenburg, impiegato nel trasporto dei passeggeri, prese fuoco il 6 maggio 1937, mentre era in volo, e nel giro di pochi secondi precipitò, quando cercava di atterrare nella stazione aeronavale di Lakehurst, in New Jersey, negli Stati Uniti. L’incidente causò la morte di 36 persone.

Le immagini del dirigibile in fiamme che si schianta al suolo vennero diffuse da giornali e cinegiornali di tutto il mondo, dando un’immagine devastante della pericolosità dei dirigibili, che da allora vennero impiegati sempre meno per il trasporto passeggeri, fino a scomparire del tutto a favore del trasporto aereo.





Lo zeppelin Hindenburg si schianta al suolo a Lakehurst, New Jersey, 6 maggio 1937

The phantom punch - Il pugno fantasma


Dopo il discusso esito del primo incontro, la rivincita tra Muhammad Ali e Sonny Liston non sembrava avere molta credibilità.

Il match fu dapprima fissato a Boston e poi revocato, fu rifiutato dalle principali sedi pugilistiche americane e infine anche da Las Vegas. Alla fine l’incontro si disputò il 25 maggio 1965 a Lewinston, nel Maine, una sede secondaria, di fronte a una platea semivuota.



Il match sembrò la replica di quello dell’anno precedente, con Liston all’attacco e Ali abile nello schivare i pugni dell’avversario. Dopo appena un minuto Ali colpì Sonny Liston con un colpo d’incontro apparentemente innocuo, passato alla storia come il “pugno fantasma” (the phantom punch).



Dopo una goffa caduta, Liston rimase al tappeto tramortito. Ali, incredulo, lo invitò con veemenza (“Get up and fight! Get up!”) ad alzarsi per continuare il combattimento. Secondo gli esperti che visionarono al rallentatore la ripresa, il pugno del campione del mondo, assestato da brevissima distanza e talmente veloce da risultare quasi invisibile, colpì con precisione la tempia dell’avversario, che in quel momento stava portando un attacco con il suo caratteristico stile ed era fortemente sbilanciato in avanti. Resta però il dubbio relativo alla forza non devastante del colpo che avrebbe provocato l’atterramento di Liston, notoriamente un buon incassatore.



L’immagine di Muhammad Ali che sovrasta l’avversario, immortalata da Neil Leifer, John Rooney e dagli altri fotoreporter presenti a bordo ring, è divenuta una delle più celebri icone pop della nostra epoca.



Impegnato a frenare le proteste di Ali, che invece di andare al suo angolo ad attendere il conteggio insultava l’avversario al tappeto, l’inesperto arbitro Jersey Joe Walcott dimenticò di effettuare il conteggio.

Walcott fece riprendere il match ben 17 secondi dopo l’atterramento, ma accortosi in un secondo momento dell’errore su segnalazione di uno dei giornalisti a bordo ring e dei cronometristi, lo sospese dichiarando Ali vincitore per KO.

Il pubblico, certo di una combine, iniziò a gridare “Truffa! Truffa! Truffa!”.

Nel match si erano verificate molte violazioni al regolamento: tra queste il comportamento di Ali dopo l’atterramento e quello dell’arbitro, che non l’aveva ammonito ufficialmente e non aveva effettuato il regolare conteggio di Liston al tappeto.

Nonostante questo, Sonny Liston non protestò, né il suo clan formalizzò alcun reclamo. Critica e stampa ritennero il match un falso.



Il KO di Liston è generalmente considerato l’episodio più sospetto nella storia della boxe. Tali circostanze appannarono per i contemporanei l’immagine sportiva di Sonny Liston e lo relegarono al riduttivo ruolo di pugile della mafia, che ne determinò anche il tragico destino.







L’autobus di Rosa Parks


Rosa Parks (1913 - 2005) è stata un’attivista statunitense afroamericana, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, famosa per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto su un autobus ad un bianco, dando così origine alla clamorosa protesta chiamata boicottaggio degli autobus di Montgomery.



Il primo dicembre del 1955 James Blake, un autista di autobus di Montgomery, in Alabama, si avvicinò a Rosa Parks, una donna nera di 42 anni, sarta, e le ordinò di alzarsi per fare posto a un passeggero bianco.



Erano i tempi della segregazione razziale e i primi posti degli autobus erano riservati ai bianchi.

I neri dovevano sedersi nella zona posteriore e poi in quella centrale, se i posti non erano occupati da bianchi. Altrimenti si dovevano alzare, cedere il posto, spostarsi nella zona posteriore dell’autobus e, se questo era pieno, scendere.



Quel giorno Rosa Parks stava tornando a casa e, poiché l'unico posto a sedere libero era nella parte anteriore del mezzo, quella riservata ai bianchi, andò a sedersi lì. Poco dopo salirono sull’autobus alcuni passeggeri bianchi, al che il conducente James Blake ordinò a lei e ad altre quattro persone di colore di alzarsi e andare nella parte riservata ai neri. Rosa Parks, stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe, non si mosse, contrariamente agli altri.

L’autista fermò l’automezzo e chiamò la polizia, che arrestò Rosa Parks per condotta impropria e violazione delle norme cittadine. Il 5 dicembre venne condannata per disordini e multata di 10 dollari più 4 dollari di spese processuali.



In breve tempo Rosa Parks divenne un’icona dei diritti civili e il suo rifiuto diede origine al boicottaggio degli autobus di Montgomery da parte della comunità afroamericana, guidata dall’allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King.

Gli organizzatori chiedevano che i passeggeri neri venissero trattati come i bianchi, che potessero sedersi nelle file centrali degli autobus senza dover cedere il proprio posto ai bianchi e che venissero assunti anche autisti neri.



Il boicottaggio durò 381 giorni e assunse proporzioni sempre più vaste man mano che la notizia si diffuse: la comunità afroamericana godeva del supporto dei tassisti afroamericani, che avevano adeguato le loro tariffe a quella degli autobus.

La protesta terminò il 20 dicembre del 1956 dopo l’entrata in vigore di una legge federale che dichiarava incostituzionale la segregazione razziale sugli autobus pubblici dell’Alabama. Quel giorno, all’arrivo del primo autobus in città, salirono insieme Rosa Parks, Martin Luther King e il futuro presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.



Gene Herrick - Il poliziotto D. H. Lackey e Rosa Parks durante un arresto, 22 febbraio 1956



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Il film di Zapruder


La mattina del 22 novembre del 1963, come ogni mattina, Abraham Zapruder (1905 - 1970) si era recato al lavoro e, pur sapendo della parata presidenziale che gli sarebbe passata sotto l’ufficio, aveva deciso di non portare con sé la cinepresa, una Bell & Howell Zoomatic otto millimetri.



Zapruder era un sarto di origine ebraica, nato in Russia ed emigrato negli Stati Uniti nel 1920. Dopo aver lavorato a New York come assistente di sartoria, trasferitosi a Dallas aveva intrapreso una piccola attività imprenditoriale fondando la Jennifer Juniors, una ditta di abiti confezionati.

La piccola azienda, nel 1963, aveva sede a Dallas, al 501 di Elm Street, al quinto e al sesto piano del Dal-Tex Building, il palazzo costruito accanto al tristemente celebre Deposito dei libri della Texas School, l’edificio da cui, secondo le ricostruzioni, Lee Harvey Oswald esplose i suoi colpi mortali.



Fu un’impiegata a convincere Zapruder a tornare a casa per prendere la cinepresa: così facendo avrebbe potuto filmare il presidente e la consorte per mostrarli ai figli e ai nipoti.

Sceso in Dealey Plaza, Zapruder si mise alla ricerca del miglior luogo da cui riprendere il passaggio del corteo: individuò, in cima al terrapieno sul lato destro di Elm Street, un muretto di cemento e decise di salire là sopra per documentare l’avvenimento con la sua cinepresa.



In ventidue secondi impressi su una pellicola otto millimetri, l’inconsapevole Abraham Zapruder girò quella mattina il più importante film storico del ventesimo secolo: in 486 fotogrammi riprese l’intera sequenza dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, dal momento in cui la limousine presidenziale svoltò nella piazza fino a quando scomparve a grande velocità sotto il ponte della ferrovia.

Tutte le ricerche, analisi e controanalisi, deduzioni e controdeduzioni giudiziarie e storiche sull’assassinio del presidente Kennedy si basarono negli anni quasi esclusivamente sul film di Zapruder.



La voce che qualcuno avesse filmato tutta la scena si sparse velocemente, e per le otto di sera era già arrivato a Dallas un rappresentante di Life Magazine con il compito di acquistare i diritti del film. Nel frattempo Zapruder aveva fatto sviluppare la pellicola al laboratorio della Kodak di Dallas, chiedendo che gli stampassero anche tre copie di riserva.

Consegnò due di queste copie agli uomini dei Servizi Segreti, e se ne tornò a casa con la terza copia, insieme all’originale. Il mattino dopo l’ufficio di Zapruder fu letteralmente assediato dai giornalisti, che volevano a tutti i costi vedere il film, ma Life li aveva preceduti, e per 50.000 dollari era riuscita a strappare a Zapruder l’esclusiva per la pubblicazione.


Il giorno seguente la pellicola fu visionata dai dirigenti di Life, che decisero che le immagini erano troppo forti per il pubblico americano, che non avrebbe retto all’impatto emotivo.

Il film rimase lontano dalla vista di tutti per molti anni, mentre Life ne pubblicò solo alcuni fotogrammi in bianco e nero.



Il 30 agosto del 1970 Abraham Zapruder morì.

Senza volerlo era diventato un divo, ma non si prestò mai a diventare il simbolo di questa o di quella bandiera, e si espose solo per confermare ogni volta l’autenticità del suo documento.

Cinque anni dopo la sua morte la testata Life restituì i diritti alla famiglia del sarto, mentre l’originale del film e la cinepresa sono oggi conservati negli Archivi Nazionali degli Stati Uniti. Nel 1999 gli eredi di Abraham Zapruder vennero ricompensati dal Dipartimento di Giustizia con un assegno di 16 milioni di dollari, circa 30 miliardi delle vecchie lire.



Abraham Zapruder - Il fotogramma 313 del film di Zapruder, 22 novembre 1963



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